Bce, la fine del Pepp non significa l’esaurimento degli stimoli monetari

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Darren Williams, Director—Global Economic Research di AllianceBernstein, ritiene che la Banca centrale europea potrebbe continuare a usare in modo flessibile e modulato al vecchio strumento dell’App, avviato nel 2014 e riattivato nel 2019

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A dicembre la BCE potrebbe annunciare la conclusione, a partire da marzo, del Programma di acquisto per l’emergenza pandemica, noto come PEPP. Ma mercati e investitori si chiedono come gestirà il processo e cosa significherà per i rendimenti obbligazionari nell’Eurozona. Negli ultimi anni, la BCE ha fatto ampio uso del quantitative easing per sostenere l’economia, le banche e i prezzi degli asset, con due programmi distinti con scopi piuttosto diversi: il Programma di acquisto di asset, introdotto nel 2014 e riavviato a settembre 2019, che mira a mantenere i tassi di interesse negativi e a bilanciare i rischi deflattivi, con acquisti di €20 miliardi al mese, destinato a concludersi “poco prima” che la BCE inizi ad alzare i tassi, e il PEPP, lanciato a marzo 2020 a fronte della pandemia.

LA DIFFERENZA TRA I DUE PROGRAMMI

Darren Williams, Director—Global Economic Research di AllianceBernstein, spiega che il PEPP differisce dall’APP perché il ritmo di acquisti mensili è flessibile e subordinato all’obiettivo di preservare “condizioni di finanziamento favorevoli”, e perché è destinato a durare solo fino a che la pandemia peserà sull’inflazione. Prima della riunione di dicembre la BCE dovrebbe avere dati sufficienti per confermare la chiusura del PEPP a marzo, dopo che le previsioni formulate a settembre indicano minor necessità di stimoli d’emergenza: nei prossimi trimestri la crescita rimbalzerà a un livello vicino a quello pre-pandemia e l’inflazione core dovrebbe l’1,5% nel 2023, lo stesso livello previsto a settembre 2019per il 2021, con la differenza che l’inflazione è ora in salita, non in discesa…

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Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.