Perché un portafoglio a basse emissioni (da solo) non salva il pianeta

Perché un portafoglio a basse emissioni (da solo) non salva il pianeta
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Secondo abrdn, investire in aziende e attività a bassa impronta di carbonio non basta, servono anche soluzioni attive e lungimiranti basate anche sulle nuove tecnologie e innovazioni

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A sei anni dall’Accordo di Parigi oggi il focus è sulla sua implementazione dell’accordo del 2015 e sulle ambizioni a lungo termine per affrontare l’emergenza climatica. La pandemia ha ridimensionato tutte le altre sfide ma i lockdown hanno avuto anche un risvolto positivo facendo scendere del 6% rispetto al 2019 le emissioni globali di gas serra. Ma per limitare il riscaldamento globale entro 1,5 °C bisogna che le emissioni siano dimezzate entro il 2030, con una riduzione annuale del 7,7%, vale a dire ancora di più di quanto fatto nell’anno del Covid, altrimenti le conseguenze potrebbero essere catastrofiche, superando la perdita di vite umane causata dalla pandemia.

SI ALZA LA POSTA IN GIOCO

Per questo Blair Couper, investment manager e Tony Hood, investment director di abrdn, sottolineano che “si alza la posta in gioco” e che identificare le aziende in grado di fornire le soluzioni richieda un approccio agli investimenti basato sui fondamentali, attivo e lungimirante. Le etichette possono trarre in inganno. Creare un portafoglio a basso impatto di carbonio non sembra così difficile in pratica, si possono evitare settori ad alto consumo energetico come le utility, i materiali e l’energia e prediligere allocazioni dove l’impronta di carbonio è relativamente ridotta, come la finanza, le comunicazioni e i prodotti di consumo. Ma questo approccio rischia di lasciarsi sfuggire i settori dove può realizzarsi il maggior cambiamento positivo e dove si trovano alcune delle migliori opportunità…

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Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.