Il vertiginoso aumento dei prezzi del carburante in Kazakistan ha portato a massicce proteste, causando numerosi morti e centinaia di feriti.
Cosa è successo
Mercoledì i manifestanti hanno dato fuoco alla residenza presidenziale e all’ufficio del sindaco di Almaty, la principale città della nazione dell’Asia centrale. Il Ministero degli Interni kazako ha affermato che otto fra agenti di polizia e membri della Guardia nazionale sono stati uccisi e che quasi 100 agenti sono rimasti feriti nella rivolta; in totale sono rimaste ferite oltre 300 persone, sebbene non siano state diffuse informazioni su possibili vittime civili, secondo l’Associated Press.
Il Presidente Kassym-Jomart Tokayev ha dichiarato lo stato di emergenza di due settimane per l’intero Paese; Almaty ha imposto un coprifuoco notturno e ha limitato i movimenti dentro e intorno alle aree urbane.
A scatenare le proteste sono stati i prezzi quasi raddoppiati per un tipo di benzina chiamata GPL. Molti kazaki hanno convertito le loro auto per farle funzionare a GPL, una scelta molto più economica della normale benzina, fino a quando il governo non ha alzato i massimali sui prezzi del GPL il 1° gennaio. Il governo del Kazakistan ha scelto di allontanarsi dalla strategia di controllo dei prezzi, nell’ambito di un piano per la transizione verso un’economia di mercato.
Perché è importante
Il Kazakistan costituisce circa il 43% della produzione mondiale di uranio ed è il principale produttore mondiale di questo metallo. Le proteste in corso hanno fatto salire il prezzo degli scambi specifici per il settore dell’uranio: dal 30 dicembre il North Shore Global Uranium Mining ETF (NYSE:URNM) è salito di oltre il 12%, scambiando a 79,08 dollari nella giornata di mercoledì, mentre il Global X Uranium ETF (NYSE:URA) ha avuto un aumento di quasi il 10% dalla fine dell’anno scorso, chiudendo ieri a 24,75 dollari.
Il Kazakistan, il nono Paese più grande al mondo, confina a nord con la Russia e a est con la Cina; l’ex repubblica sovietica ha vaste riserve di petrolio che la rendono strategicamente ed economicamente importante per quest’area. Nonostante le considerevoli riserve e la ricchezza mineraria, molti kazaki vivono in condizioni precarie.
Intanto la Russia chiede “dialogo” in Kazakistan per sedare le manifestazioni. “Stiamo seguendo attentamente gli eventi nel nostro Paese vicino e fraterno”, ha affermato il ministero degli Esteri russo in una nota; “sosteniamo una soluzione pacifica a tutti i problemi all’interno del quadro giuridico e costituzionale e attraverso il dialogo, non attraverso rivolte di strada e violazione delle leggi”, ha aggiunto il ministero.
Criptovalute colpite dalla protesta
I servizi Internet nel Paese sono stati sostanzialmente bloccati dall’inizio delle proteste; il gruppo di monitoraggio Internet NetBlocks ha riferito che il Kazakistan sta vivendo un grave blackout di Internet.
Confirmed: #Kazakhstan is now in the midst of a nation-scale internet blackout after a day of mobile internet disruptions and partial restrictions. The incident is likely to severely limit coverage of escalating anti-government protests. Report: https://t.co/Op5GwzXKbh pic.twitter.com/pdHJkJFe7v
— NetBlocks (@netblocks) January 5, 2022
La chiusura di Internet ha avuto un impatto sulla principale criptovaluta al mondo: il Kazakistan è infatti la seconda nazione più grande in termini di tasso di hash per il mining di Bitcoin (CRYPTO:BTC).
Subito dopo la chiusura, il tasso di hash complessivo della rete è sceso del 13,4%, da circa 205.000 petahash al secondo (PH/s) a 177.330 PH/s. Il Kazakistan rappresenta il 18% dell’attività hash della rete Bitcoin.
Cosa potrebbe succedere
Il presidente Tokayev ha chiesto che l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), un’alleanza militare composta da sei ex repubbliche sovietiche, inclusa la Russia, aiuti il suo Paese a reprimere quella che ha descritto come una “minaccia terroristica”.
Mercoledì la CSTO ha annunciato la sua decisione di inviare un contingente di peacekeeping in Kazakistan. In un post su Facebook, Nikol Pashinyan, primo ministro della presidenza armena della CSTO, ha dichiarato: “… il Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO, in conformità con l’articolo 4 del Trattato di Sicurezza Collettiva, ha adottato la decisione di inviare le forze collettive di peacekeeping della CSTO alla Repubblica del Kazakistan per un periodo di tempo limitato al fine di stabilizzare e normalizzare la situazione in questo Paese”.