Alphabet chiude il Project Loon, addio ai palloni aerostatici

Dopo 8 anni la società madre di Google ha deciso di chiudere il progetto del pallone aerostatico che portava Internet nelle aree svantaggiate  

Alphabet chiude il Project Loon, addio ai palloni aerostatici
1' di lettura

Alphabet Inc (NASDAQ:GOOG) (NASDAQ:GOOGL), la società madre di Google, dopo otto anni ha staccato la spina al suo progetto Loon, i giganteschi palloni aerostatici che trasmettono Internet nelle aree svantaggiate.

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Cosa è successo: Loon era un progetto sperimentale avviato all’interno della Moonshot Factory di Alphabet, che alla fine si è fatto strada nella divisione Other Bets (altre scommesse); i palloni Internet di Loon avevano le dimensioni di un campo da tennis e si spostavano e volavano autonomamente per portare la connessione a Internet nelle aree poco servite.

“Anche se abbiamo trovato un buon numero di partner disponibili lungo la strada, non abbiamo trovato un modo per ridurre i costi a sufficienza da poter costruire un’attività sostenibile a lungo termine. Lo sviluppo di una nuova tecnologia radicale è per sua natura rischioso, ma ciò non semplifica la diffusione di queste notizie”, ha affermato in un post sul blog aziendale Alastair Westgarth, amministratore delegato di Loon.

Perché è importante: sebbene la tecnologia avesse avuto successo, il progetto non era commercialmente fattibile; secondo un report di Wired, la disponibilità di Internet è aumentata dal 75% al 93% del pianeta poiché la tecnologia 4G è diventata più economica. Le restanti aree non collegate non possono permettersi un telefono 4G oppure non sono interessate ad ottenere l’accesso a Internet.

Astro Teller, presidente di Loon, ha dichiarato in un altro post sul blog che Loon ha promesso “un fondo di 10 milioni di dollari per sostenere organizzazioni non profit e imprese focalizzate su connettività, Internet, imprenditorialità e istruzione in Kenya”.

Movimento dei prezzi: giovedì le azioni GOOG hanno chiuso in aumento dello 0,23% a 1.891,25 dollari.

Immagine cortesemente concessa da Wikimedia