La rivoluzione dell’AI sta alimentando una corsa da trilioni di dollari. Per H2O Asset Management la sfida non è evitare la bolla ma capire chi resterà in piedi quando l’euforia passerà
L’intelligenza artificiale ha ormai assunto il ruolo di motore della nuova economia globale. E dopo il cloud e la transizione green, è l’IA ad aver preso il posto di principale forza trainante dei mercati, alimentando una corsa agli investimenti che sta ridisegnando gli equilibri industriali e finanziari. Secondo PwC, l’impatto economico complessivo dell’intelligenza artificiale potrebbe superare 15,7 trilioni di dollari entro il 2030, un dato che spiega l’entusiasmo e la rapidità con cui i capitali si stanno muovendo verso il settore.
E secondo le stime di H2O Asset Management, gli investimenti diretti in infrastrutture e progetti legati all’intelligenza artificiale sono destinati a tradursi in un programma industriale da oltre 3 trilioni di dollari entro il prossimo decennio.
IL TRAINO AMERICANO E I SUOI LIMITI
Finora la spinta è arrivata soprattutto dagli Stati Uniti. L’ondata di investimenti ha contribuito a mantenere viva la crescita americana, compensando in parte il rallentamento della domanda globale, gli effetti dei dazi e la minore immigrazione, che ha ridotto l’afflusso di nuova forza lavoro e quindi la capacità produttiva del Paese.
Ma un incremento tanto rapido non può durare all’infinito e i mercati reagiscono alla variazione degli investimenti, più che al loro volume assoluto. In altre parole, l’impulso maggiore lo si è già visto: nel 2024 gli investimenti sono esplosi fino a 400 miliardi di dollari, e un aumento a 500 nel 2025 avrebbe un effetto molto meno dirompente sull’economia. C’è poi un’altra questione: la redditività. Anche ipotizzando, come osservano in H2O Asset Management (da vedere il video-podcast realizzato da H2O Asset Management con il CIO Vincent Chailley) che l’intelligenza artificiale possa aumentare la produttività complessiva dell’economia di circa il 15% in dieci anni, come accadde con la rivoluzione di Internet e delle telecomunicazioni, i ritorni non sarebbero immediati. Ci vorrebbero almeno quattro o cinque anni per vederne gli effetti e un decennio intero per recuperare gli investimenti iniziali. In un periodo tanto lungo, le incognite macro e quelle tecnologiche non mancano: una recessione, una fiammata dei prezzi dell’energia o la concorrenza della Cina, che non resterà certo spettatrice. Per non parlare dell’obsolescenza dei chip e che secondo alcuni potrebbero richiedere sostituzioni ogni biennio, con costi sempre più alti di addestramento e inferenza…
Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.