In AllianceBernstein ritengono che gli investitori sostenibili dovrebbero monitorare l’impronta di carbonio delle obbligazioni in portafoglio, ma considerare solo le metriche tradizionali non basta
La transizione climatica è un’area di grande interesse per gli investitori e il percorso per arrivare a un’economia a zero emissioni nette di carbonio, la “net zero”, sarà lungo. E’ un aspetto che riguarda anche l’investimento obbligazionario e in AllianceBernstein ritengono che sia importante monitorare l’impronta di carbonio dei titoli corporate presenti in portafoglio. Diversi fornitori, tra loro MSCI, hanno creato metriche sull’impronta di carbonio che mettono a confronto le caratteristiche di un portafoglio con quelle di un benchmark. Per le obbligazioni, la metrica più rilevante è l’intensità di carbonio media ponderata di un portafoglio, misurata in termini di volume di emissioni di anidride carbonica per valore delle vendite (tonnellate di CO2equivalente/mln USD).
I LIMITI DELLE METRICHE CONVENZIONALI
Questa metrica, osservano in AllianceBernstein, ha diversi vantaggi, è applicabile a tutte le asset class ed è semplice da calcolare perché non ha bisogno di dati sulla capitalizzazione di mercato o sul fatturato, ma presenta inevitabilmente alcuni limiti. Per cominciare, è un’”istantanea”, che non consente di formulare previsioni sui piani di riduzione delle emissioni delle aziende. I fornitori di queste metriche climatiche convenzionali sono poi in grado di misurare in modo attendibile le emissioni Scope 1 (quelle dirette) e Scope 2 (le emissioni indirette dell’impresa in quanto consumatore di energia), ma hanno appena iniziato il complesso compito di incorporare le emissioni Scope 3 (quelle indirette a valle della sua catena di produzione). Altro limite, questi strumenti non distinguono tra la carbon footprint delle obbligazioni convenzionali e quella dei green bond o di altre strutture obbligazionarie ESG…
Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.