Sebbene basate su una tecnologia innovativa come la blockchain, oggi le criptovalute restano perlopiù strumenti speculativi, con criticità significative in termini di governance e impatto ambientale
Il “mining”, l’attività informatica indispensabile per creare le criptovalute come il Bitcoin, utilizza potenti computer per risolvere complessi problemi matematici che convalidano le transazioni, in modo da garantire la sicurezza e l’integrità della rete. La ricompensa per i miner è in nuove criptovalute, ad esempio bitcoin. Si tratta di un processo che, pur ricorrendo ad apparecchiature avanzate, richiede un enorme consumo di elettricità, spesso generata da fonti non rinnovabili, contribuendo in modo significativo al riscaldamento globale e a un impatto ambientale negativo.
IL BITCOIN ENERGY CONSUMPTION INDEX
Secondo i dati del Bitcoin Energy Consumption Index, ammonta a 98 milioni di tonnellate la CO2 immessa ogni anno nell’atmosfera dalle “fabbriche” di bitcoin, cioè quanto le emissioni annuali di anidride carbonica di un intero paese come la Grecia. Purtroppo le problematiche non si esauriscono solamente nella CO2 emessa. “Tra il 2020 e il 2021, l’estrazione del Bitcoin ha richiesto, principalmente per il raffreddamento dei data center, una quantità d’acqua pari a 1,65 chilometri cubi (km³), una quantità sufficiente a soddisfare i bisogni idrici di oltre 300 milioni di persone che vivono in territori soggetti a siccità. Inoltre, i data center indispensabili per l’attività “estrattiva” richiedono un’enorme quantità di spazio fisico: si stima che l’area complessivamente interessata a livello mondiale sia pari a 1,4 volte l’estensione di Los Angeles”, fanno sapere gli esperti di Etica Sgr…
Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.