La tensione commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea entra in una nuova fase: Bruxelles e Washington starebbero lavorando a un’intesa per una tariffa unica del 15%. Il modello ricalca quello già adottato tra Usa e Giappone, ma con un’importante eccezione: l’acciaio resterebbe soggetto a un dazio del 50%. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non nasconde l’ambizione dell’Europa: “Il risultato dev’essere soddisfacente”. Ma l’ultima parola spetta a Trump.
Cosa è successo
L’amministrazione statunitense, guidata da Donald Trump, ha rilanciato con una proposta chiara: meno dazi in cambio di mercati più aperti. La bozza in discussione prevede una tariffa fissa del 15%, ritenuta accettabile dai 27 Paesi Ue, in quanto permetterebbe l’abbassamento delle attuali barriere su settori strategici — primo fra tutti quello automobilistico, attualmente colpito da un dazio del 27,5%.
Lo schema seguirebbe la traccia dell’accordo con il Giappone, ma non toccherebbe i dazi sull’acciaio, lasciando invariata la tariffa punitiva del 50%. A Bruxelles si sottolinea che “tutti gli strumenti sono sul tavolo”, a conferma che la partita resta aperta e carica di incertezze.
Il punto chiave dell’intesa sarebbe l’inclusione della clausola “Nazione più favorita” (MFN), un meccanismo anti-discriminatorio già usato da Ue e Usa e che ha mantenuto finora le tariffe medie attorno al 4,8%. Questo aprirebbe margini per future riduzioni doganali.
La discussione resta viva anche su eventuali esenzioni settoriali: secondo fonti europee, potrebbero salvarsi comparti come aeronautica, agricolo, alcolici, legname e dispositivi medici. Ma la decisione finale resta, senza sorpresa, nelle mani di Trump.
Perché è importante
Secondo un’analisi del Centro Studi Confindustria, l’impatto per l’Italia sarebbe durissimo: con dazi al 15%, si rischierebbe una perdita da 22,6 miliardi di euro in export verso gli Usa. In altre parole, un terzo del Made in Italy destinato al mercato americano potrebbe sparire dagli scaffali d’oltreoceano.
A soffrire di più sarebbero i settori ad alta specializzazione: macchinari industriali e farmaceutica, in valore assoluto, ma anche alimentare e automotive subirebbero forti contraccolpi. Per alcune imprese, la pressione sarebbe tale da mettere in discussione intere catene di fornitura.
Certo, le imprese italiane potrebbero tentare di compensare vendendo di più altrove — si parla di un possibile recupero fino a 10 miliardi in altri mercati. Ma i numeri parlano chiaro: il saldo resterebbe negativo e doloroso, soprattutto per chi ha costruito una presenza stabile negli Stati Uniti negli ultimi anni.
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