L’inflazione ha diminuito il nostro potere d’acquisto, facendoci fare un passo indietro rispetto agli altri Paesi europei. Ma ci sono solo dati negativi?
Non sempre quel suono era come speravamo. A volte, in quelle buone, era bello deciso, netto e godurioso. Altre, invece, era un po’ impacciato, interrotto da una traiettoria che incespicava nel contenuto del pacchetto che ci accingevamo ad aprire. Ma forse ci importava poco del rumore che faceva l’involucro di carta mentre lo aprivamo, rispetto alle figurine che speravamo di trovarci dentro.
Oggi, probabilmente, il pensiero si focalizzerebbe su tutt’altro: non sul suono della bustina che si apre, non su quale calciatore avremmo trovato al suo interno, ma sul costo del singolo pacchetto.
Sarà che si cresce, ma la frase ripetuta come un mantra in questi casi è sempre la stessa: “Prima costavano meno”. E vale per le figurine, per alcune caramelle della nostra infanzia o per la proverbiale tazzina di caffè al bar.
Prima costavano meno, o forse semplicemente ci sembrava che fosse così.
Come ci siamo arrivati? Ci sono tanti motivi in realtà, ma nel Sunday View di questa settimana andiamo ad analizzarne uno in particolare.
Pronti, via!
ISTAT DOCET
Quasi 6, e oltre il 4. Due numeri, o meglio due percentuali. Solo che la prima è positiva, mentre l’altra è negativa. Secondo i dati, in molti Paesi europei la capacità d’acquisto dei cittadini è aumentata del 6%, mentre in Italia è diminuita del 4%. In dieci anni, il potere d’acquisto all’interno dei nostri confini è diminuito in maniera importante, ancorato a salari reali che spesso non tengono il ritmo dell’inflazione. Questo è quello che emerge dall’ultimo rapporto annuale ISTAT, dove si evidenza che, oltre all’inflazione, il problema principale è il mancato aumento dei salari reali, che in Italia arranca a metà della velocità della media di altri Paesi UE come Francia, Spagna e Germania. Però bisogna dire che non è proprio tutto tutto da buttare…
Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.