Dopo vent’anni politica economica e monetaria non sono più allineate per ragioni diverse in USA e in Europa. L’inflazione va abbattuta ma la spesa pubblica a go-go non aiuta. Il faro dei fondamentali aziendali
Fino alla guerra in Ucraina, politiche economiche e monetarie erano andate sostanzialmente a braccetto per oltre vent’anni nei principali paesi sviluppati, vale a dire dalla crisi finanziaria globale in poi, con la parziale eccezione della risposta iniziale dell’Europa alla crisi del debito sovrano nel 2011. Poi ci ha pensato Mario Draghi ad assumere di fatto anche la leadership politica con l’ormai storico ‘whatever it takes’ lanciato a luglio del 2012 appena arrivato alla guida della Bce, rimettendo le cose a posto e salvando l’euro dal collasso ad appena un decennio dalla sua nascita. L’azione concertata di politica monetaria e fiscale ha ripreso a funzionare, anche a fronte dello shock della pandemia e sembrava poter durare nonostante la ripartenza violenta delle economie nel 2021, che sommata alle strozzature globali causate dal blocco da Covid, aveva risvegliato un’inflazione globale in letargo da decenni.
LA GUERRA HA CAMBIATO LE CARTE IN TAVOLA
Ancora ad agosto dell’anno scorso il capo della Fed Powell ribadiva a Jackson Hole che l’inflazione era temporanea e la si poteva lasciar correre un po’ anche oltre il target, mentre i governi in USA ed Europa continuavano con le misure di stimolo per sostenere la ripartenza delle economie. Poi l’aggressione russa cambiava le carte in tavola con l’effetto domino sulle catene globali dei costi, partito dall’energia e diffuso a tutte le materie prime. La Fed prendeva atto e cominciava a stringere a marzo, la Bce seguiva, ma la politica andava avanti con gli stimoli e i sostegni, anzi li rafforzava. In Europa, per alleviare le sofferenze causate a famiglie e imprese dallo shock energetico, in USA più per ragioni elettorali, con le elezioni di mid-term in arrivo e quelle per la Casa Bianca all’orizzonte…
Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.