Il peggiore è una guerra totale, il più desiderabile un negoziato con concessioni reciproche. II fattore tempo è cruciale, e se le turbolenze durano troppo ci si fa male. Il precedente di Nixon
Il 2 aprile Trump ha sferrato un pugno nello stomaco a nemici e alleati globali, con onde d’urto violente sui mercati, che quasi nessuno si aspettava. Tutti credevano che sarebbe stata la solita sparata vocale, fino a che non ha tirato fuori la tabellina dei dazi paese per paese. I futures di Wall Street, appena chiusa, che viaggiavano in positivo, sono andati subito a picco, seguiti per tutta la settimana dagli altri mercati, a cominciare dall’Europa, con dollaro e rendimenti dei Treasury che imboccavano la discesa. Per trovare nella storia qualcosa del genere non bisogna risalire agli Anni 30 tra le due guerre, che molti sbagliando oggi evocano, basta tornare al Ferragosto del 1971, mezzo e passa secolo fa, quando Nixon sganciò a sorpresa il dollaro dall’oro, facendo schizzare al rialzo le monete dei concorrenti commerciali, a cominciare da Germania e Giappone, e imponendo allo stesso tempo dazi del 10% su tutte le importazioni in USA.
L’EFFETTO PERVERSO A CASCATA SULLE ECONOMIE
L’obiettivo di Nixon era lo stesso di Trump, supportare l’industria e l’occupazione USA sottraendo ai concorrenti un vantaggio giudicato ingiusto. Ma non lo erano i tempi. L’URSS era un competitor politico-militare, ma non commerciale, la Cina era un grande paese agricolo e affamato, e India con il resto dell’Asia non se la passavano meglio, con l’eccezione del Giappone. Oggi la globalizzazione, anche se da qualche anno meno uniforme, trasmette attraverso i mercati alla velocità della luce gli scossoni come quello fatto partire da Trump dal giardino delle rose della Casa Bianca meno di una settimana fa, che dalle Borse potrebbe contagiare le economie, colpendo i consumi e riaccendendo l’inflazione, con l’esito finale di una recessione…
Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.