Il piano della Casa Bianca per ridurre l’indebitamento mantenendo la supremazia del dollaro nel mondo
Mentre il mondo allaccia le cinture per affrontare tempi incerti, analisti e investitori si interrogano sul significato profondo delle scelte di Trump. Cosa vuole, nel suo intimo, il 47esimo presidente americano? In un certo senso il Trump-pensiero lo ha espresso Elon Musk quando, l’11 febbraio scorso, dichiarò ad un gruppo di giornalisti che “gli Stati Uniti rischiano la bancarotta se non verranno tagliate le spese federali”. Il cuore dei problemi è il gigantesco debito pubblico: con oltre 36 mila miliardi di dollari di esposizione e circa mille miliardi di dollari di interessi da pagare ogni anno, Washington è nella morsa dei creditori, interni ed esteri. L’ideale, cioè la visione che pare muovere la presidenza in ogni decisione, sarebbe quella di 1) avere un rafforzamento dell’attività produttiva in patria facendo ricorso a maggiori investimenti, 2) avere un dollaro sufficientemente debole per rinvigorire le esportazioni, 3) ridurre le spese federali, 4) ridurre il disavanzo della bilancia commerciale, 5) addomesticare la politica monetaria per soddisfare almeno i primi tre punti.
L’EFFETTO DEI DAZI
I dazi potrebbero – il condizionale è d’obbligo – condizionare e favorire i primi punti, ma dal loro avvio, annunciato e in via di definizione, la situazione si è alquanto complicata, per la reazione di un “altro mondo”, quello alternativo dei Brics, che vuole giocare la partita sulla scacchiera mondiale. La Cina, infatti, ha risposto con i dazi al 10 e al 15% sui prodotti agricoli e alimentari americani dal 10 marzo. Il tema internazionale era stato sottolineato ampiamente da Maria Vassalou, responsabile del Pictet Research Institute nell’autunno del 2024 quando, in un report dedicato, scrisse che “uno dei maggiori rischi per la sostenibilità del debito Usa è di fatto di natura geopolitica, legato all’evoluzione della coalizione dei Brics, in grado di compromettere l’architettura finanziaria mondiale esistente, anche se nel breve periodo una forte crisi del debito Usa appare del tutto improbabile”. Si viaggia comunque su un terreno impervio, dove la mission strategica di lungo periodo – se non si vuol far perdere la tripla A ai Treasury Bond – sarebbe quella di avere contemporaneamente una inflazione più alta (che farebbe crescere il Pil al denominatore) e una riduzione dei tassi di interesse che congelerebbe il fattore Debito al numeratore. In questo modo, nel tempo, il rapporto Debito/Pil scenderebbe…
Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.