L’economia italiana ha iniziato l’anno con il piede giusto, ma il passo si è fatto incerto già nel secondo trimestre. Secondo l’ultimo Bollettino economico di Bankitalia, il PIL crescerà nel 2025 solo dello 0,6%, frenato da guerre, dazi e un contesto internazionale sempre più instabile. Una ripresa c’è stata, ma resta fragile, come un germoglio sotto il vento.
Cosa è successo
Bankitalia segnala una crescita dello 0,3% nel primo trimestre, trainata da consumi, investimenti e una timida domanda statunitense. Un segnale positivo, certo, ma che non basta a far abbassare la guardia. Anche la manifattura ha mostrato un accenno di vitalità — seppur sotto minaccia.
Nel secondo trimestre, infatti, la ripresa ha rallentato. Produzione industriale e servizi sono cresciuti solo lievemente, mentre le costruzioni hanno tenuto grazie al settore non residenziale. Ma il motore degli investimenti ha cominciato a tossire, colpito da un mix di incertezza e bassa capacità produttiva utilizzata.
Bankitalia prevede ora una crescita modesta dello 0,6% per l’intero 2025, e un miglioramento contenuto — intorno allo 0,8% in media nel biennio successivo. Le parole chiave sono cautela e volatilità: lo scenario potrebbe cambiare in fretta, e non per il meglio.
Preoccupano in particolare i dazi imposti dagli Stati Uniti: circa un terzo delle imprese manifatturiere italiane teme un impatto negativo su ordini e investimenti. Anche se nella prima metà dell’anno la domanda estera ha retto, il futuro non è garantito.
Perché è importante
Questi dati arrivano in un momento in cui l’Italia ha bisogno di certezze. E invece, l’instabilità geopolitica — dai conflitti armati ai protezionismi — agisce come una zavorra per l’economia. Le imprese sono costrette a navigare a vista, spesso rinviando decisioni chiave su produzione e investimenti.
I dazi statunitensi rischiano di colpire proprio il cuore del nostro export manifatturiero, già provato da anni difficili. Il fatto che un’impresa su tre stimi un impatto negativo nel 2025 rivela un timore diffuso, e concreto. L’effetto domino potrebbe estendersi anche al lavoro e all’innovazione.
Infine, la frenata degli investimenti segnala qualcosa di più profondo: una fiducia fragile nel futuro. Se le aziende non scommettono su crescita e capacità produttiva, il rischio è quello di una stagnazione a lungo termine. Un rischio che va affrontato con scelte coraggiose — e coordinate.
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