In un gesto che unisce simbolismo e impegno concreto, Coop Alleanza 3.0 ha rimosso dagli scaffali alcuni prodotti israeliani. Al loro posto, arriva la Gaza Cola, una bibita nata per sostenere progetti umanitari a favore del popolo palestinese. La scelta, maturata dopo un rapporto della commissione etica, coinvolge oltre 350 punti vendita nel Centro-Nord Italia e riflette una presa di posizione netta sul conflitto in Medio Oriente.
Cosa è successo
Coop Alleanza ha deciso di sospendere la vendita di prodotti come arachidi, tahina, gasatori e ricariche Sodastream, tutti di origine israeliana. Un atto dichiaratamente simbolico, ma carico di significato: «Non possiamo restare indifferenti di fronte alle violenze che dilaniano Gaza», si legge nella nota ufficiale.
Da un paio di settimane sugli scaffali e online è apparsa la Gaza Cola, una bevanda solidale ideata da imprenditori palestinesi per finanziare interventi umanitari. Lo slogan? «Il gusto della libertà». Parte dei ricavi andranno alla ricostruzione dell’ospedale Al Karama, nel Nord della Striscia.
La decisione segue una linea etica già tracciata. Coop afferma infatti di voler agire in coerenza con i suoi valori, condannando il blocco degli aiuti umanitari imposto dal governo israeliano. Una posizione non neutrale, ma dichiarata e trasparente.
Perché è importante
La mossa della Coop non è isolata. Fa parte di un più ampio impegno sociale: l’iniziativa “Coop For Refugees” ha raccolto fondi per sostenere civili in fuga da Gaza, ma anche da zone di crisi come Libano, Ucraina e Sudan. Una solidarietà che si allarga oltre i confini del conflitto israelo-palestinese.
A colpire è anche la scelta commerciale: dare spazio a un prodotto nato sotto le bombe e che racconta una storia diversa, umana. La Gaza Cola, con il suo packaging essenziale, parla non solo di libertà, ma anche di resilienza. Per molti clienti è diventata una forma silenziosa ma potente di protesta.
Non mancano dubbi e dibattiti: è giusto che la grande distribuzione entri in temi geopolitici? Coop ha deciso di sì, preferendo il rischio della chiarezza all’apparente sicurezza della neutralità.
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Foto: Shutterstock
