Una recente class action contro Apple (NASDAQ:AAPL) ha portato alla luce una problematica legata alla gestione della privacy degli utenti. Al centro della questione c’è Siri, l’assistente vocale del colosso di Cupertino, accusato di registrare conversazioni private senza consenso. Apple ha accettato di chiudere il caso con un risarcimento da 95 milioni di dollari, evitando così ulteriori danni reputazionali. Gli utenti coinvolti potranno ottenere un rimborso fino a 100 dollari per persona.
Cosa è successo
Il caso, noto come “Lopez vs Apple”, è iniziato più di cinque anni fa e ha coinvolto numerosi utenti che hanno denunciato attivazioni involontarie di Siri e registrazioni non autorizzate. Le conversazioni, secondo gli utenti, venivano ascoltate e utilizzate da Apple senza consenso esplicito, violando la loro privacy.
Nonostante Apple abbia sempre negato ogni responsabilità, ha preferito chiudere il contenzioso con un accordo extragiudiziale. In base all’intesa, ogni utente potrà ricevere fino a 20 dollari per dispositivo, con un massimo di cinque dispositivi. Il rimborso sarà disponibile per tutti coloro che dimostrano, tramite dichiarazione giurata, di essere stati colpiti dal problema.
Per richiedere il rimborso è necessario presentare domanda entro il 2 luglio 2025 attraverso il portale ufficiale della class action. Anche i consumatori italiani possono partecipare, ma potrebbero affrontare ostacoli burocratici maggiori rispetto ai cittadini statunitensi.
Perché è importante
Questo caso segna un momento cruciale per il settore tecnologico: l’intelligenza artificiale e gli assistenti vocali pongono nuove sfide etiche e legali. La gestione dei dati personali richiede standard sempre più elevati di trasparenza e responsabilità.
Apple, che ha fatto della privacy un pilastro del proprio marchio, si trova ora a dover ricostruire la fiducia degli utenti. Il risarcimento non cancella l’episodio, ma rappresenta un passo verso una maggiore tutela.
Infine, il caso evidenzia quanto sia importante per i consumatori conoscere i propri diritti e vigilare sull’uso delle tecnologie quotidiane. La consapevolezza è il primo strumento per difendere la propria privacy.
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