Una nuova finestra si apre per i contribuenti italiani: la rottamazione quinquies, attesa al massimo entro il 2026, promette una via più dolce per sanare i debiti col Fisco. Con pagamenti mensili diluiti su 10 anni e l’esclusione di interessi e sanzioni, sembra l’occasione ideale per ripulire la propria posizione con l’erario. Ma, come spesso accade, tra teoria e realtà c’è di mezzo il comportamento umano.
Cosa è successo
La nuova pace fiscale riguarderà i debiti affidati all’Agenzia delle Entrate – Riscossione tra il 2000 e il 2023. Il cuore della misura è la possibilità di dilazionare il pagamento in 120 rate mensili, rendendo più agevole il rientro anche per chi è in difficoltà economica.
Non si tratta solo di pagamenti più comodi: l’adesione sospende ipoteche, fermi amministrativi e perfino i pignoramenti. Per molti, una vera boccata d’ossigeno… almeno in apparenza.
Eppure, secondo la Corte dei Conti, le rottamazioni precedenti — come la “quater” — hanno mostrato un’altra faccia della medaglia: 11,2 miliardi di euro di rate scadute e non versate, nonostante proroghe e riammissioni.
Dietro le adesioni, si nasconde spesso un intento strategico: prendere tempo, fermare le azioni esecutive e rinviare, senza reale volontà di pagare.
Perché è importante
Il dato che fa riflettere è il divario tra entrate attese e reali: oltre 11 miliardi di euro mancanti. Una cifra che pesa sulle finanze pubbliche e mina la credibilità delle misure agevolate.
La Corte dei Conti lancia un avvertimento chiaro: queste sanatorie rischiano di diventare strumenti per procrastinare, più che per sanare. Serve dunque una riflessione più profonda su come rafforzare la riscossione e distinguere i veri contribuenti in difficoltà da chi specula sul sistema.
Infatti, molti presentano domanda solo per ottenere il Durc (documento di regolarità contributiva) e aggirare temporaneamente le sanzioni. E intanto, il debito resta lì, sospeso… come un filo teso sul bilancio dello Stato.
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Foto: Zhanna Hapanovich/Shutterstock