«La musica sta per fermarsi». Difficile dimenticare questa considerazione pronunciata da Jeremy Irons nei panni di un cinico Amministratore Delegato. L’allora profezia era riconducibile alla successiva crisi del 2008 e, l’intero contesto seppur a tratti fin troppo semplificato, trovava la propria collocazione nel celebre film Margin Call.
Oggi, la realtà dei fatti è decisamente diversa e diametralmente opposta a quel periodo storico ma, senza cadere in discutibili analogie, quelle parole dette sono più di una ipotesi: almeno per un paese in Europa. La Germania. Ebbene sì, è oggettivo, e “la musica tedesca” ha prima rallentato per poi fermare la propria corsa da ex locomotiva d’Europa.
La stima preliminare sul PIL del quarto trimestre 2022 ha registrato una variazione percentuale negativa attestandosi a -0,2% ovvero un valore peggiore rispetto al consensus che si attendeva una crescita nulla (zero per cento). Anche il dato su anno (rif. rettificato per gli effetti del calendario) ha visto un +0,5% che, se raffrontato alle attese (+0,8%), conferma un significativo ridimensionamento. Una dinamica, quella tedesca, in flessione a causa della spesa riconducibile ai consumi privati che, come indicato dallo stesso Ufficio di statistica Destatis, non ha più sostenuto l’economia tedesca come, invece, è stato nei primi tre trimestri del 2022.
Per molti si tratta di un vero e proprio fulmine a ciel sereno soprattutto a seguito della recente diffusione di alcuni indicatori economici che, di fatto, hanno confermato un ritrovato ottimismo in territorio tedesco: indice GfK e Ifo in primis. Inoltre, anche i commenti a queste rilevazioni hanno mostrato una notevole e ritrovata positività: «Il sentiment nell’economia tedesca si è illuminato», «l’economia tedesca sta iniziando l’anno con più fiducia» queste le parole del Presidente dell’Ifo Clemens Fuest. Ed ancora: «il governo federale prevede che lo shock dei prezzi dell’energia e l’aumento dei tassi di interesse si raffredderanno nell’anno in corso, ma nel complesso prevede che il prodotto interno lordo cresca dello 0,2%».
Ecco, infine, le conclusioni del Ministero dell’Economia a corollario del rapporto “Renewing Prosperity”: «L’economia tedesca si è dimostrata adattabile e resiliente», e ancora «grazie a questi sforzi, le prospettive economiche per il 2023 sono migliori di quanto previsto nella proiezione autunnale». Sulla base di questo quadro d’insieme – il panorama tedesco – non avrebbe dovuto avere alcun cedimento, ma così non è stato. Effettivamente, qualche perplessità sull’effettivo stato di salute della Germania, era sorta ad inizio anno.
Era il 4 gennaio, ed in occasione del comunicato stampa a commento della diffusione del dato sull’Indice S&P Global PMI Composito dell’eurozona, Joe Hayes, Senior Economist presso S&P Global Market Intelligence, dichiarava: «L’economia dell’eurozona ha continuato a deteriorarsi a dicembre, ma la spinta di contrazione si è moderata per il secondo mese consecutivo, quasi ad indicare un declino dell’economia più lieve di quanto inizialmente previsto. All’interno dell’eurozona, anche le varie nazioni hanno registrato declini minori, soprattutto la Germania, il cui andamento economico di questa seconda metà dell’anno ha costituito il principale freno dell’intera eurozona».
Ovviamente, le parole dell’autorevole economista di S&P Global Market sono per noi un monito istituzionale ma concettualmente, in Germania, «la musica sta per fermarsi».