Opportunità azioni italiane, ancora sottovalutate e meno esposte al rischio Btp

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Nonostante un buon 2023 Piazza Affari resta in forte ritardo su un orizzonte di lungo termine e ha spazio per recuperare molto, mentre i rischi sul debito pesano meno che in passato e sono concentrati sui titoli di Stato

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La Borsa di Milano quest’anno ha fatto decisamente meglio delle altre europee e nonostante gli alti e bassi degli ultimi mesi conserva un rialzo non lontano dal 20% da inizio anno, contro un modesto 5% dell’azionario europeo misurato dall’indice Stoxx 600. Ma resta l’unica tra quelle dei paesi sviluppati, e non solo, a non aver recuperato i livelli pre-grande crisi finanziaria, quando l’indice Ftse Mib viaggiava vicino ai 40.000 punti contro i 28.800 attuali, e nemmeno quelli pre-bolla di Internet, quando aveva sfiorato i 50.000. A influire sulla performance di lungo periodo sono sicuramente le banche, che pesano molto sull’indice, e che sono state duramente colpite prima dalla crisi di Lehman e poi ancor più da quella del debito sovrano, dato l’ammontare importante nei loro bilanci di titoli di Stato. Ora su questo fronte torna qualche tensione, in attesa del verdetto di Moody’s sul merito di credito italiano, ma azionario e banche sembrano ben impermeabilizzati.

POSSIBILI DOWNGRADE NON SCALFISCONO L’APPEAL DELLE AZIONI ITALIANE

Un downgrade di Moody’s secondo alcune stime potrebbe spingere lo spread tra Btp e Bund tedeschi in area 250 punti, dai 180-190 attuali. Ma questo non scalfisce l’appeal delle azioni italiane, che secondo i calcoli di Reuters, in termini di rapporto tra prezzi e utili, sono ancora a sconto di circa il 50% rispetto all’azionario globale, ai massimi dal 1988. Ovviamente le valutazioni basate sul price/earning a 12 mesi possono essere ingannevoli e segnalare anche sopravvalutazioni. Ma l’anno di riferimento della stima di sottovalutazione è significativo, infatti nel 1988 Piazza Affari toccò il picco di una corsa di cinque anni, che portò la capitalizzazione a quintuplicare, sulla spinta di una serie di fattori unici: l’abbattimento dell’inflazione dal 20% a poco sopra il 4%, un boom economico che consentì il sorpasso della Gran Bretagna portando l’Italia al quarto posto nella classifica del PIL globale, dietro solo a USA, Giappone e Germania Ovest, e soprattutto l’arrivo dei fondi comuni di investimento nel 1984, che aprì le porte dell’investimento azionario alla grande massa dei risparmiatori…

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Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.