Il dibattito sulla possibilità di produrre gli iPhone interamente negli Stati Uniti è tornato al centro della scena, complice la retorica protezionistica del presidente Donald Trump. L’ipotesi, spinta da un piano di dazi del 25% sui prodotti fabbricati all’estero, mette sotto esame la sostenibilità economica di un ritorno della produzione Apple (NASDAQ:AAPL) sul suolo americano.
Tuttavia, il costo stimato per un iPhone “made in USA” potrebbe farne un prodotto di nicchia, ben distante dal mercato di massa. Le implicazioni economiche e politiche di questa mossa rischiano di essere rilevanti a livello globale.
Cosa è successo
Secondo le stime degli analisti, un iPhone interamente prodotto negli Stati Uniti arriverebbe a costare fino a 3.500 dollari, circa tre volte il prezzo attuale dell’iPhone 16 Pro Max. Il motivo principale è il costo elevato della manodopera americana, che è 17 volte superiore a quella indiana, dove oggi si concentra una parte significativa della produzione. A questo si aggiungono costi infrastrutturali stimati tra i 30 e i 50 miliardi di dollari per avviare una filiera nazionale.
L’attuale catena di produzione dell’iPhone si basa su un ecosistema globale: componenti come scocche, batterie, display, modem, fotocamere e processori provengono rispettivamente da Cina, Corea del Sud, Giappone e Taiwan. Questa rete consente un equilibrio ottimale tra costi e tempi, difficilmente replicabile negli Stati Uniti senza sacrificare la competitività di Apple. Inoltre, il divario salariale rappresenta una barriera economica enorme al rimpatrio produttivo.
Trump spinge per politiche protezionistiche già viste in passato, puntando a ridurre il deficit commerciale con dazi mirati. Apple, da parte sua, ha annunciato 500 miliardi di dollari di investimenti nel paese, una cifra che però gli esperti giudicano insufficiente per sostenere una filiera completamente domestica. Le soluzioni alternative restano poco praticabili o dannose per il mercato interno.
Perché è importante
L’imposizione di dazi potrebbe costringere Apple a scegliere tra tre strade: assorbire i costi riducendo i margini, trasferirli sui consumatori o differenziare i prezzi per mercati. Ogni opzione comporta rischi per la competitività del marchio, specie rispetto a rivali asiatici come Samsung e Xiaomi, meno esposti a dinamiche politiche statunitensi.
Un iPhone prodotto esclusivamente negli USA segnerebbe un cambio epocale per l’intera industria tecnologica, ponendo fine alla logica della globalizzazione produttiva. Tuttavia, la dipendenza da una rete internazionale rende questo scenario difficilmente realizzabile senza pesanti ripercussioni economiche e logistiche.
Infine, il caso Apple riflette un dilemma più ampio per il futuro dell’economia americana: come conciliare ambizioni politiche protezionistiche con la realtà dei mercati globali. Il dibattito, alimentato da slogan elettorali, potrebbe avere effetti reali sul portafoglio dei consumatori.
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Foto: hanohiki via Shutterstock