I mercati hanno tenuto nonostante gli allarmi sulla Lehman cinese, il nuovo corso di Pechino va monitorato, ma le grandi case continuano a vedere un forte caso d’investimento
Una settimana fa il caso Evergrande impattava la Borsa di Hong Kong con onde d’urto sull’apertura europea, e sui media si abusava del termine ‘crollo’ e fioccavano i paragoni con la crisi dei subprime USA del 2008, ma su Financialounge.com si poteva leggere che non era la nuova Lehman ma una crisi gestibile come nel caso HNA, e che l’opportunità di investimento in Cina restava intatta. I cinque giorni successivi hanno visto i mercati azionari reagire con un rimbalzo alla sbandata iniziale e venerdì la settimana si chiudeva in positivo non solo a Wall Street ma persino a Shanghai, mentre Hong Kong limitava la perdita a poco più dell’un per cento. Anche questa volta, in uno scenario che si ripete con regolarità ormai da una decina d’anni, lo storno si è rivelato un’occasione di ingresso e l’ennesimo bagno per la speculazione al ribasso, ma segnala anche una certa voglia di tirare il fiato e portare un po’ di profit a casa dopo una corsa che ha portato l’S&P 500 da meno di 2.000 punti a metà 2015 fino ai quasi 4.500 di oggi, e tutte le scuse sono buone, dalla bolla cinese alle fibrillazioni di Capitol Hill sul tetto all’indebitamento del Tesoro USA e sul passaggio dei mega-stimoli socio-ambientali di Biden.
IL POTENZIALE DI CRESCITA PIÙ GRANDE
Detto questo, la Cina resta centrale per l’investitore che guarda al lungo termine, perché racchiude il potenziale di crescita più grande del pianeta che ha bisogno di potersi esprimere senza mettere in discussione il mercato e la circolazione dei capitali ma anche senza spinte troppo disordinate e con la giusta dose di regole e controlli. Le ultime che arrivano dal grande paese sono la ‘liberazione’ della CFO di Huawei Meng Wanzhou dai domiciliari di lusso a Vancouver, l’arresto in Cina del chairman e del CEO di HNA Chen Feng e Tan Xiangdong, che sono anche i fondatori della conglomerata che dal 2010 ha fatto in giro per il mondo un’abbuffata di partecipazioni stellari finanziate a debito per poi finire in bancarotta e amministrazione controllata a inizio 2021, e infine il mancato pagamento di cedole per 83 milioni di dollari da parte di Evergrande, che comunque ha 30 giorni di ‘grazia’ per adempiere senza dover portare i libri in tribunale. Il tutto condito dalla messa al bando del ‘mining’ e delle transazioni di Bitcoin e altre criptovalute da parte di Pechino…
Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.