Un recente report ha rivelato che quasi un quinto dei lavoratori italiani è impiegato con contratti part-time, con oltre la metà di questi contratti imposti involontariamente, secondo quanto riportato da la Repubblica.
Cosa è successo
Il report ha rilevato che il 57,9% dei contratti part-time in Italia sono involontari, il tasso più alto nell’intera Eurozona. Il sindacato Cgil ha avviato una campagna per combattere questa tendenza, cercando di esporre le situazioni in cui i contratti part-time vengono forzati, impedendo ai lavoratori di integrare il loro reddito con un secondo lavoro.
La Cgil sottolinea che, sebbene alcuni lavoratori possano preferire o scegliere il part-time come opportunità, la realtà è che la maggior parte dei lavoratori part-time involontari devono adattarsi ai cicli e agli orari delle aziende. Inoltre, l’Inail ha rilevato che spesso un contratto part-time regolare nasconde un full-time irregolare.
Il report di lavoro di marzo della Cisl ha rilevato un’inversione di tendenza negativa nel quarto trimestre del 2023, con i contratti part-time in aumento del 3,4% rispetto al quarto trimestre del 2022, mentre i contratti a tempo pieno sono aumentati solo del 2%. Ciò ha portato a 4,3 milioni di lavoratori part-time, con una percentuale molto diversa tra uomini (7%) e donne (31,1%).
Perché è importante
La Cgil calcola che la retribuzione media annua di un lavoratore part-time sia di 11.451 euro, che scende ulteriormente nel Mezzogiorno. Se a un orario ridotto si aggiunge un contratto a tempo determinato, il salario lordo medio annuo si riduce a 6.267 euro.
La Cgil chiede l’introduzione di una pensione di garanzia e il superamento del minimale contributivo necessario per i lavoratori part-time per raggiungere l’anzianità previdenziale. Inoltre, rivendica la proroga dell’ammortizzatore sociale per il part-time ciclico introdotto con la legge di Bilancio 2021.