Il Made in Italy si trova di fronte a una sfida senza precedenti. I dazi statunitensi stanno iniziando a mordere sull’export italiano, con perdite che potrebbero raggiungere i 16,5 miliardi di euro nel medio-lungo termine. Una cifra equivalente al 2,7% dell’export complessivo del Paese, che mette in allerta le principali filiere produttive italiane.
Cosa è successo
Il Centro Studi di Confindustria ha lanciato l’allarme: ad agosto le vendite verso gli Stati Uniti sono crollate del 21,1% su base annua. Dopo mesi di ordinativi anticipati per aggirare le tariffe, è arrivata la fase di compensazione e l’impatto è pesante.
I settori più colpiti sono quelli che rappresentano l’eccellenza italiana: automotive, alimentare, bevande, moda e pelletteria. La situazione è aggravata dal rafforzamento dell’euro, salito di oltre il 12% rispetto al dollaro dopo i tagli ai tassi della Fed. Questo rende i prodotti italiani meno competitivi sul mercato americano.
Sul fronte energetico si registra una stabilizzazione: il gas europeo è a 32 euro al MWh (comunque il doppio rispetto al pre-crisi) e il petrolio intorno ai 66 dollari al barile. L’industria italiana continua a soffrire con una produzione in calo del 2,4% ad agosto, mentre i consumi interni restano frenati dalla prudenza delle famiglie, che preferiscono risparmiare (9,5% del reddito).
Perché è importante
Non si tratta di una semplice flessione congiunturale. Se i dazi diventeranno permanenti, l’Italia rischia di perdere quote di mercato strutturali negli USA. Molte aziende potrebbero essere costrette a delocalizzare la produzione oltreoceano per continuare a vendere, con conseguenze drammatiche per l’occupazione e l’indotto nazionale.
Confindustria avverte: l’Europa potrebbe iniziare a perdere intere filiere produttive, con Stati Uniti, Messico e Canada pronti a sostituire le importazioni europee. Il marchio Made in Italy protegge solo nel breve periodo, ma nel lungo termine serviranno nuovi accordi commerciali o presenza produttiva diretta sul territorio americano. La vera partita, ormai, è geopolitica.
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Foto: Rokas Tenys via Shutterstock
