Charlie Munger non ha mai avuto amato l’autocommiserazione. Il vicepresidente di lungo corso di Berkshire Hathaway, che è morto all’età di 99 anni, ha vissuto delle perdite che avrebbero causato problemi alla maggior parte delle persone e nonostante tutto, ha rifiutato di vedersi come una vittima.
La biografia del 2000 di Janet Lowe, “Damn Right! Behind the Scenes with Berkshire Hathaway Billionaire Charlie Munger”, apre il sipario su ciò che ha plasmato quella filosofia di ferro. Munger ha sopportato un doloroso divorzio all’età di poco più di trenta anni, ha avuto problemi finanziari e poi ha affrontato l’inimmaginabile: nel 1955, il figlio di 9 anni, Teddy, è morto di leucemia – una malattia che all’epoca non aveva cura. Munger era sconvolto ma determinato a non lasciarsi consumare dalla disperazione.
Come ha scritto Lowe, anche dopo decenni Munger ha guardato indietro a quel periodo con chiarezza piuttosto che con sentimentalismo. “All’età di 76 anni, Charlie Munger guarda indietro a quegli anni e osserva che il tempo toglie parte del dolore per la perdita di un figlio. Se non lo facesse, dice Munger, non sa come la razza umana potrebbe continuare. Munger crede che affrontando nel miglior modo possibile la tragedia della morte di Teddy, stesse facendo l’unica cosa razionale. ‘Quando si è di fronte ad una tragica situazione, non bisogna mai lasciare che una tragedia ne provochi altre due o tre a causa della propria incapacità di volontà’”.
Quella frase racchiude in sé tutto ciò che Munger ha rappresentato: razionalità sull’autocommiserazione, forza sulla resa. Munger infatti credeva che la tragedia fosse parte della vita, ma che crogiolarsi in essa non facesse altro che moltiplicare il dolore.
La sua più famosa espressione di questo modo di pensare viene da un altro passaggio di “Damn Right!” e ampiamente citato nelle sue interviste:
“Ogni volta che pensi che qualche situazione o qualche persona stia rovinando la tua vita, in realtà sei tu che stai rovinando la tua vita. È un’idea molto semplice. Sentirsi una vittima è un modo perfettamente disastroso per attraversare la vita. Se si assume un atteggiamento che, per quanto sia male, è sempre colpa propria e che si deve cercare di risolvere il problema nel miglior modo possibile – la cosiddetta “prescrizione di ferro” – penso che funzioni davvero.”
La “prescrizione di ferro”, come la chiamava Munger, è stata la cura per la miseria: prendere in mano le redini della situazione, smettere di dare la colpa agli altri e agire. Munger infatti non suggeriva di auto-incolparsi come una forma di punizione, ma piuttosto di avere controllo sulla propria vita. Quando si decide che è propria responsabilità risolvere qualcosa, si riacquista il potere sulla propria vita.
E Munger ha vissuto così. Dopo la morte di Teddy, ha ricostruito la sua vita, si è risposato e ha cresciuto una famiglia allargata composta da otto figli. È andato avanti per la sua strada, aiutando a costruire una delle partnership di maggior successo nella storia degli affari con Warren Buffett – e fino alla fine ha continuato a fare battute, a leggere e a ragionare.
La lezione che ci ha lasciato non è complicata, ma è difficile seguirla: le cose brutte accadranno, ma la cosa peggiore che puoi fare è lasciarti definire da esse due volte. Il consiglio di Munger? Non lasciare che una tragedia si moltiplichi attraverso l’autocommiserazione o le scuse. Risolvi ciò che puoi. Sopporta ciò che devi. E continua ad andare avanti, è dannatamente giusto!
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