L’arguzia, la saggezza e la sincerità di Charlie Munger sono state messe in mostra durante una chiacchierata nel 2014, in cui ha approfondito ogni aspetto, dal genio di Benjamin Graham alla semplicità del successo di Berkshire Hathaway.
Ora, riflettendo sulla sua vita dopo la sua scomparsa avvenuta l’anno scorso, queste citazioni assumono un taglio ancora più netto. Munger, famoso per essere stato per decenni partner di Warren Buffett, era in grado di far sembrare le idee complesse quasi assurdamente semplici. Ma è proprio questo il punto: ciò che sembrava semplice di solito era una vita di brillantezza distillata.
Prendiamo ad esempio la sua opinione su Benjamin Graham. Graham, il leggendario “padre del value investing”, ha cambiato la vita di Warren Buffett. Per Buffett, Graham era quasi una divinità e i suoi insegnamenti hanno costituito la base della sua filosofia di investimento iniziale. Munger, tuttavia, non era uno che adorava lo stesso altare.
“Non amo Ben Graham e le sue idee come le ama Warren”, ha ammesso Munger. “I suoi metodi sono stati plasmati dal Great Crash e dalla Depressione e gli hanno lasciato un senso di paura permanente su ciò che il mercato può fare”. Munger considerava la strategia di investimento di Graham, che prevedeva l’acquisto di società a basso costo con scarso potenziale di crescita, come “un’insidia e un’illusione”. Ha concluso senza mezzi termini che Graham, pur essendo brillante, “non era un investitore altrettanto bravo di Warren Buffett e nemmeno quanto lo sono io”.
Ma è qui che brilla il genio di Munger: la sua insistenza sul sapere ciò che non si sa. “Sapere ciò che non si sa è più utile che essere brillanti”, ha detto, incanalando Confucio, Aristotele e Socrate tutti insieme. Munger lo paragona all’istinto di sopravvivenza di un funambolo che non può permettersi di sopravvalutare le proprie capacità. Questa attenzione incessante all’autoconsapevolezza, piuttosto che all’esibizione intellettuale, è ciò che distingue Munger e Buffett.
Quando si tratta di Berkshire Hathaway, Munger è altrettanto poco romantico. “Non c’è una sola idea originale in tutto il modo in cui la Berkshire è gestita”, ha detto. Si trattava invece di ciò che il suo amico Peter Kaufman chiamava “sfruttare le semplicità non riconosciute”. In fondo, la Berkshire era una comunità di persone che la pensavano allo stesso modo e che prendevano decisioni che spesso sembravano scontate, grazie ai loro valori condivisi.
“Warren e io non siamo dei prodigi”, ha confessato Munger. “Non possiamo giocare a scacchi con gli occhi bendati o essere pianisti da concerto. Ma i risultati sono prodigiosi”. Ed è questo il paradosso della genialità di Munger. Lui e Buffett non hanno puntato a stupire con un QI grezzo; hanno semplicemente giocato a lungo termine, evitando errori stupidi e rifiutandosi di farsi travolgere dal caos degli utili trimestrali.
Munger ha anche parlato della cultura della franchezza della Berkshire: “A Warren piace dire: “Diteci solo le cattive notizie, quelle buone possono aspettare””. Questa enfasi sull’onestà e sui risultati a lungo termine rispetto a quelli a breve termine non era solo una strategia: era una filosofia che costruiva la fiducia e impediva che i piccoli problemi si trasformassero in disastri.
Ora, con la scomparsa di Munger, le sue parole assumono il peso di un’eredità. Non sono solo consigli per gli investitori: sono un modello per pensare con chiarezza in un mondo rumoroso e troppo complicato. Ci ricorda che la genialità non consiste nel sapere tutto, ma nel sapere ciò che conta e, cosa altrettanto importante, ciò che non conta.
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