Le recenti parole della Presidente della Bce Christine Lagarde hanno penalizzato l’andamento dei mercati finanziari. Questa la conclusione alla quale molti osservatori sono giunti all’indomani dei significativi ribassi sulle principali piazze azionarie europee durante l’ormai trascorsa ottava. A ben vedere, però, il commento della Governatrice al Forum economico internazionale di Davos non ha, di fatto, né modificato e neppure aggiornato la precedente view del Consiglio direttivo che, lo scorso 12 gennaio, vedeva formalizzate le proprie decisioni attraverso la diffusione del consueto e periodico bollettino economico.
In tale occasione, la sintesi che emergeva dalle prime righe riscontrabili nel “Quadro generale”, era molto semplice: «il Consiglio direttivo ritiene che i tassi di interesse debbano ancora aumentare in misura significativa a un ritmo costante per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi da assicurare un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2 per cento nel medio termine». Se tale assunto fosse accostato alle recenti considerazione della Presidente Lagarde («L’inflazione resta l'”obiettivo primario della Bce”. La Bce manterrà la rotta sui tassi: terrà “la barra dritta fino a quando saremo entrati in territorio restrittivo abbastanza a lungo per riportare velocemente l’inflazione al 2%”» – Fonte Ansa) le differenze risulterebbero nulle.
Pertanto, a seguito di questo parallelismo che confuta (oggettivamente) la sostanza in capo ai vari commentatori, la conclusione appare ovvia: nessun dubbio sulla trasparenza e sulla linearità di pensiero della Bce. La riprova, infatti, è poi arrivata dagli stessi mercati finanziari che, sul finire della settimana, così come nella giornata di ieri, hanno recuperato le precedenti perdite.
L’incognita: il mercato dei bond
Sgombrato ogni possibile fraintendimento, ciò che invece deve far riflettere (perché non detto), è quanto emerge come diretta conseguenza a questa confermata volontà d’agire in ambito di politica monetaria nel Vecchio continente, ovvero: le inevitabili ripercussioni sul mercato dei bond. Come noto, ad un rialzo dei tassi di interesse, corrisponde il contrapposto ribasso delle quotazioni. Ne consegue, quindi, che in ottica di anno 2023, la già penalizzata asset class obbligazionaria non godrà di una ritrovata serenità post annus horribilis 2022.
Ad esemplificare l’impatto potenziale di tali dinamiche risulta molto utile la consultazione della “Guide to the markets®” pubblicata a dicembre da J.P.Morgan Asset Management che, a pagina 37, riporta le conseguenze su singoli sottostanti appartenenti al cosiddetto comparto del reddito fisso. Come evidente, il basket analizzato è riconducibile all’universo Usa, ma, prescindendo da quest’ultimo, la validità delle conclusioni è comunque verosimilmente assimilabile all’intero contesto bond (rif. duration modificata).
Spread: nulle le ripercussioni ma i rendimenti sono visti in rialzo
A confermare questa ipotesi sulle plausibili discese dei prezzi (v. aumento dei rendimenti) è arrivato anche il recente monito di S&P Global Rating che, attraverso il report “2023 Economic Outlook”, ha soffermato la propria analisi sul sempre temuto spread indicando come «Il rendimento dei Bund decennali si attesterà al 3,2% circa a fine 2024, mentre quello sui Btp sarà al 5,2%» (Fonte Radiocor) ossia con un differenziale pari a 200 punti base.
Sulla base di quanto finora argomentato le conclusioni sono chiare: nessun dubbio sulla Bce e sulle parole della Presidente Christine Lagarde. Rimangono, invece, molte perplessità sulle parole non dette.