Dal giorno del primo attacco russo ai danni dell’Ucraina, avvenuto il 24 febbraio scorso, molte federazioni hanno preso una posizione forte, in solidarietà con il popolo ucraino.
I calciatori scendono in campo
Andriy Shevchenko, l’attaccante ucraino che è stato una leggenda del Milan, nonché ex allenatore del Genoa e dell’Ucraina, è stato il primo ad esporsi sulle tensioni postando su Instagram un’immagine della bandiera gialloblu sullo sfondo di una mappa.
La madre del campione è ancora a Kiev, come aveva fatto sapere una settimana fa durante un’intervista a Sky Sport, e da allora “Sheva” si è impegnato in prima linea per aiutare i suoi connazionali, sia attraverso le affermazioni che con progetti concreti, come la raccolta fondi Play Your Part, finalizzata ad accogliere 150 bambini ucraini a Londra, città dove vive il calciatore.
All’indomani del suo messaggio, anche l’atalantino Ruslan Malinovskyi aveva ripreso il post della moglie Roksana a condanna dell’invasione russa, aggiungendo poi subito dopo sui propri account social Twitter e Facebook i link utili per fare donazioni (anche in criptovaluta) a sostegno dell’esercito ucraino a nome dell’ONG Come Back Alive.
Ma anche i calciatori russi si erano smarcati dalla posizione governativa e così Fedor Smolov, l’attaccante della della Dinamo Mosca, aveva invocato il cessate il fuoco, schierandosi apertamente contro l’offensiva militare.
Nei primi concitati giorni ricordavamo anche un italiano, Roberto De Zerbi, il tecnico dello Shakhtar Donetsk rimasto bloccato in un hotel di Kiev con altri 7 membri italiani del suo staff, e l’ex tecnico della Roma Paulo Fonseca, entrambi rientrati, rispettivamente in Italia e in Portogallo, il 28 febbraio. Katerina, la moglie ucraina di Fonseca, aveva pubblicato un post su Instagram commentando l’inizio del conflitto armato:“Il giorno più spaventoso. Dolore. Rabbia, rabbia, rabbia e dolore. Il mio figlio non meritava la guerra. I bambini dell’Ucraina non meritavano la guerra”.
Tra i primi ad esprimersi a sostegno dei bambini ci furono David e Victoria Beckham, che parlando di: “Madri costrette a fuggire con i loro bambini. Famiglie divise. Ragazzi portati via dai loro letti” avevano avviato una raccolta fondi donando per primi quasi 2 milioni di dollari all’UNICEF.
L’avanzata dei tennisti
Daniil Medvedev, il 26enne di Mosca che ha da poco scalzato Novak Djokovic diventando il nuovo numero uno al mondo di tennis, ha rialsciato su Instagram forse il post più toccante, parlando in nome dei bambini e a tutela dei loro sogni.
Le sue parole devono aver ispirato anche i colleghi e così l’ucraina Elina Svitolina, la cui famiglia vive ad Odessa, ha annunciato che donerà i prossimi guadagni per aiutare il suo Paese. Idem per il britannico Andy Murray, che devolverà all’UNICEF tutte le vincite del 2022. Esce dalla neutralità anche la Svizzera, con Roger Federer con annuncia una donazione di 500.000 dollari a favore dell’Ucraina.
La russa Maria Sharapova, intanto ha pubblicato sui social un messaggio di solidarietà, pur senza violare i divieti imposti da Putin: «Ogni giorno che passa, ho il cuore sempre più spezzato dalle immagini e dalle storie di famiglie colpite da questa crisi», annunciando contemporaneamente la sua donazione a favore di Save The Children.
Nel frattempo la Federazione Internazionale Tennis (ITF) ha annunciato di aver cancellato a tempo indeterminato tutti i tornei del circuito originariamente calendarizzati in Russia. Tuttavia, nella nota, la Federazione Internazionale chiarisce che si tratta di desiderio di tutelare gli atleti, e non di una sanzione alla Russia.
C’è poi chi ha avvertito l’ugenza di aiutare al fronte, mettendosi in prima linea a difesa della patria. Così l’ex tennista Dolgopolov, un tempo arrivato al n.13 nel ranking mondiale e di recente ritiratosi dai circuiti internazionali, ha deciso di tornare in Ucraina per proteggere i suoi connazionali.
Dolgopolov è rientrato assieme ad altri volontari da Zagabria, entrando in Ucraina attraverso la Polonia; come lui Sergiy Stakhovski, un altro tennista ucraino. Anche Vitali Klitschko, ora ora sindaco della capitale, è un ex-sportivo, essendo stato più volte campione del mondo di pesi massimi.
Quali sanzioni dal mondo dello sport?
In quest’ultimo mese la Russia è stata colpita da numerose sanzioni internazionali. Alcune di queste erano rivolte agli oligarchi vicini a Vladimir Putin, da ultimo Roman Abramovich che ha dovuto abbandonare in fretta e furia sia il Chelsea che le sue proprietà immobiliari, mentre sempre più multinazionali e banche hanno deciso di sospendere le loro attività in Russia e Bielorussia.
Anche il mondo dello sport non si è tirato indietro, colpendo sia la federazione che gli atleti. La finale della Champions League è stata trasferita da San Pietroburgo a Parigi. Dopo le proteste di Svezia e Polonia, la nazionale russa è stata esclusa dalla partecipazione ai Mondiali 2022.
Tutti i club russi, inoltre, sono stati sospesi da Uefa, Champions, Europa e Conference league fino a nuovo avviso e anche il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) si è espresso raccomandando l’esclusione degli atleti russi e bielorussi dalle competizioni internazionali.
In Formula 1 è saltato il Gran Premio di Soči, mentre Haas risolveva il contratto di sponsorizzazione con Uralkali licenziando il figlio del proprietario dell’azienda chimica russa. In Italia, la Ferrari si è prontamente attivata stanziando un milione di euro per i profughi provenienti dai luoghi del conflitto: «Non possiamo rimanere inermi di fronte alle sofferenze dei civili colpiti», ha dichiarato Benedetto Vigna, AD della scuderia.
Perché lo sport conta?
Anche se l’argomento è sicuramente secondario da un punto di vista economico, probabilmente non lo è sotto il profilo di orgoglio nazionale. Proprio Vladimir Putin, che ha sempre utilizzato lo sport come strumento di propaganda, a inizio marzo si è visto privare della presidenza onoraria della Federazione di Judo, forse una delle cariche di cui andava più fiero.
Le sanzioni sportive sono tutt’altro che simboliche da quando lo sport diventò parte integrante della Guerra Fredda e da quando gli Stati Uniti e altri 64 paesi boicottarono i Giochi di Mosca dell’80 come protesta all’invaisone russa dell’Afghanistan.
La Russia (o meglio Russian Olympic Committee – ROC), che va fiera di un medagliere sul quale incombono diverse ombre e sanzioni, si è vista poi sottrarre il nome, la bandiera e l’inno per gli scandali legati al doping, le cui conseguenze vengono scontate anche dai suoi atleti.
Lo sport è l’eccellente banco di prova su cui si testano non solo la forza di corpo e spirito, ma anche la capacità di stare assieme, mostrando rispetto e lealtà anche ai propri avversari; e pensarsi al di sopra delle regole di pacifica convivenza sta costando sempre più caro a un paese che sconta con l’isolamento la sua incapacità di accettare, ogni tanto, di finire al tappeto.
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