Dopo otto tagli consecutivi, la BCE si avvicina alla fine del suo ciclo di allentamento monetario. Il taglio di 25 punti base di giugno ha portato il tasso di deposito al 2%, esattamente la metà rispetto al picco del 4% toccato appena un anno fa. Ora gli occhi del mercato sono puntati su settembre, mentre luglio sembra scivolare via senza sorprese. Ma la domanda resta: i tassi sono davvero vicini al punto d’equilibrio?
Cosa è successo
Il taglio di giugno ha segnato una nuova fase per la politica monetaria europea, portando il tasso sui depositi al 2,00%, quello di rifinanziamento principale al 2,15% e il marginale al 2,40%. L’inflazione, tornata intorno al 2%, suggerisce che l’obiettivo della BCE potrebbe essere stato raggiunto — almeno per ora.
I mercati finanziari riflettono questa cautela: l’ipotesi di un taglio a luglio è sempre meno probabile, mentre settembre sembra la finestra più realistica per un’ulteriore riduzione. Lo scenario più atteso è un altro taglio da 25 punti base, che porterebbe il tasso di deposito verso l’1,70% entro fine anno.
Tuttavia, la geopolitica e le incognite commerciali rappresentano una mina vagante. I vertici della BCE, da Lane a Lagarde, predicano cautela: ogni decisione sarà “dati-dipendente” e presa riunione per riunione. Nessun impegno anticipato.
Perché è importante
Michael Field (Morningstar) sostiene che potremmo già essere al tasso “neutrale”, quel livello in cui la BCE non spinge né frena l’economia. Ulteriori tagli, avverte, potrebbero indicare un ritorno a una politica espansiva. Ma attenzione: negli USA e nel Regno Unito i tassi restano sopra il 4%, una distanza che racconta storie molto diverse.
Carsten Roemheld (Fidelity) vede margine per uno o due tagli, ma avverte: portare il tasso sotto il 2% significherebbe imboccare una via più accomodante, in controtendenza rispetto alla Fed. Lo scenario globale resta fragile.
Il rischio più evidente? Un nuovo shock petrolifero. Un rialzo duraturo dei prezzi potrebbe rimettere tutto in discussione. Deutsche Bank stima che ogni +10 dollari sul greggio costi all’eurozona 40 miliardi di euro in importazioni e riduca il PIL dello 0,25%.
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Foto: Shutterstock/Giulio Benzin