Il conto alla rovescia per l’assemblea di Mediobanca del 21 agosto si carica di aspettative e tensioni, in una partita che potrebbe rivoluzionare gli assetti della finanza italiana. Sul tavolo, la maxi offerta pubblica di scambio da 6,3 miliardi di euro per l’acquisizione di Banca Generali, mossa strategica dell’ad Alberto Nagel per creare un campione nazionale del wealth management. Ma tra voci di approvazione dalla BCE e azionisti divisi, il finale resta tutto da scrivere.
Cosa è successo
Il vero ostacolo alla fusione viene dal fronte interno: circa il 40% del capitale sarebbe contrario o pronto ad astenersi, alimentato dal peso combinato di Delfin e Caltagirone (30%), rafforzato da altri soggetti istituzionali e privati scettici sull’operazione. Sul fronte opposto, il management e il tradizionale accordo di consultazione (7-8%) incassano il sostegno di fondi globali come BlackRock, Vanguard e Norges Bank, forti delle raccomandazioni positive dei proxy advisor (ISS, Glass Lewis, PIRC).
La vera incognita è l’affluenza: le stime parlano di una partecipazione attorno al 70-75%, appena sufficiente per dare solidità al voto. Secondo molti analisti, per un successo netto Nagel avrebbe bisogno di almeno 80%, quota che resta tutt’altro che certa data la situazione polarizzata tra azionisti.
In parallelo, Mps porta avanti la sua strategia alternativa, salendo al 13,5% delle adesioni, favorita dal conferimento di Delfin e probabilmente quello imminente di Caltagirone. Una soglia minima del 35% sembra sempre più raggiungibile, anche se l’operazione viene valutata dal mercato con un sconto del 3,2% rispetto ai prezzi correnti, pari a 565 milioni di euro di differenza.
Perché è importante
L’assemblea di Mediobanca del 21 agosto sarà un crocevia per il futuro della banca e del settore del risparmio gestito italiano. Il consolidamento di un polo nel wealth management con Banca Generali segnerebbe una svolta industriale, ma la spaccatura tra grandi azionisti solleva interrogativi sulla governance futura. Il ruolo di player internazionali, la compattezza degli accordi interni e il peso di Delfin e Caltagirone rendono lo scenario incerto, riflesso delle grandi trasformazioni e sfide della finanza nazionale.
Per gli investitori, la posta in gioco non riguarda solo il futuro di Mediobanca, ma il modello con cui l’Italia intende giocare la partita della consulenza patrimoniale e della competizione globale, con ripercussioni strategiche su tutto il sistema finanziario.
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