Domenica 12 giugno dalle ore 7 alle ore 23 gli elettori sono chiamati ad esprimersi sulla necessità di una riforma del sistema giudiziario votando anche una sola delle cinque schede che saranno consegnate a chi si reca alle urne.
L’ultima notizia, oggetto di indignazione perché interpretata come l’ennesimo ostracismo al referendum, è stata l’introduzione dell’obbligo di mascherina per chi vuole recarsi a votare; un obbligo che, ricordiamolo, non sussiste più nemmeno all’interno di uffici pubblici e privati.
I 5 quesiti
In Italia, l’unico tipo di referendum previsto dalla carta costituzionale è il referendum abrogativo, quello che in sintesi abolisce una norma esistente, creando così un vuoto normativo che andrà poi colmato dal Parlamento con una successiva legislazione, quando non riviva una norma precedente che disciplina lo stesso punto.
Si vota sì per abrogare la legge esistente, si vota no per conservarla.
Al prossimo referendum ogni elettore che si presenti al seggio elettorale vedrà consegnarsi 5 schede di diversi colori. Non è obbligatorio rispondere a tutte, ma è consigliato esprimersi in un senso o nell’altro, visto che il referendum sarà ritenuto valido solamente al raggiungimento del quorum, ossia quando il 50%+1 degli elettori avranno votato.
- La scheda rossa chiederà all’elettore se è favorevole ad abrogare la Legge Severino (dlgs. 235/2012). Questa prevede che siano escluse in automatico dalle elezioni e dagli incarichi politici le persone condannate. Un’abrogazione della norma farà cadere l’automatismo, lasciando al giudice la facoltà di valutare di volta in volta se applicare l’interdizione dai pubblici uffici.
- La scheda arancione riguarda le misure cautelari e la norma sulla reiterazione del reato (art.274 comma 1 lettera c del Codice Penale). Il giudice oggi può decidere le misure cautelari quando c’è pericolo di fuga, di alterazione delle prove o di ripetizione del reato. Il referendum chiede di eliminare dai motivi quest’ultimo nel caso di reati considerati meno gravi dall’ordinamento. La ragione pratica risiede nell’attuale uso ritenuto eccessivo delle custodie cautelari in Italia, con minaccia del principio della presunzione di innocenza, cui segue spesso l’indennizzo per ingiusta detenzione.
- La scheda gialla riguarda la separazione dei ruoli dei magistrati durante la loro carriera. Oggi i magistrati possono passare liberamente dal ruolo di pubblico ministero (e quindi di pubblica accusa) a quello di giudice. Chi vota sì chiede che vengano separate le carriere in modo definitivo, garantendo così una maggiore imparzialità dei giudici (tesi del sì), chi vota no sceglie di mantenere il sistema attuale.
- La scheda grigia chiede se si vuole permettere anche a professori e avvocati di valutare i magistrati. Al momento i magistrati sono valutati con cadenza quadriennale dal Csm, l’organo superiore della magistratura. Il quesito mira ad allargare i profili delle figure che potranno esprimersi sulla competenza e professionalità dei magistrati, superando di fatto l’autoreferenzialità della magistratura. Chi vota no ritiene al contrario fondamentale che non sussistano ingerenze esterne rispetto ai criteri di valutazione attuali (tesi del no).
- La scheda verde propone di eliminare l’obbligo di raccolta firme per chi vuole candidarsi al Csm (legge n.195/1958). Attualmente è previsto l’obbligo di raccogliere da 25 a 50 firme di altri magistrati per candidarsi come membri del Csm, un organo composto da 24 membri eletti per un terzo dal Parlamento e per due terzi dagli stessi magistrati. L’abrogazione della normativa prevede un ritorno alla norma originaria del 1958 secondo la quale chiunque poteva presentare la propria candidatura.
Il clima politico
In un paese con 6 milioni di cause pendenti, 7 anni in media necessari per concludere tre gradi di giudizio civile e 3 anni penale e innumerevoli ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) per violazione dei tempi massimi di durata dei processi, sembra evidente che una riforma del settore della giustizia sia non solo auspicabile, ma doverosa.
L’incertezza del sistema giudiziario peraltro è anche uno, e forse il principale assieme all’alta burocratizzazione, dei motivi per cui gli investimenti esteri faticano sempre più a radicarsi nel nostro paese. Ray Dalio aveva recentemente espresso la sua opinione sul punto, identificando nel sistema giudiziario il maggior problema dello Stato italiano.
Promosso da Lega e Partito Radicale, uniti per un attimo in un’improbabile alleanza, il referendum mira ad ottenere un maggior controllo sulla giustizia e ad introdurre un maggiore garantismo.
Netta è stata l’opposione del Pd, che ritiene quantomeno inopportuno un referendum su questioni che, ha detto chiaramente nei giorni scorsi Enrico Letta, sono già oggetto di discussione “in Parlamento, è lì che bisogna fare le riforme e un referendum renderebbe impossibile qualsiasi percorso parlamentare. Riforme così complesse devono essere fatte in Parlamento” (il riferimento è alla riforma Cartabia, resasi peraltro obbligatoria per l’accesso ai fondi europei).
Il silenzio dei media
Di questo referendum non so se ricorderemo l’esito. I sondaggisti (al soldo di chi?) si affrettano a pronosticare l’impossibilità di raggiungere il quorum, dato che sarebbe – se confermato – peraltro in linea con i recenti referendum, e con il sempre maggiore disinteresse degli elettori per la politica livello nazionale, come attestano le percentuali di affluenza alle elezioni governative, scese ininterrottamente da un 88,83% del 1987 a un 72,91% del 2018. Diversa è la situazione, anche referendaria, a livello locale e regionale, ma questo meriterebbe un capitolo a parte.
Il fallimento sembra quindi ormai un dato certo, o che quantomeno per certo viene dato, forse non sempre con equanimità e onestà politica. Certamente, di questo referendum ricorderemo il protratto silenzio della stampa e soprattutto delle televisioni che della questione sembrano essersi interessate, il minimo indispensabile, solamente negli ultimi giorni.
Il dato è forse più significativo del referendum in sé.
Uno dei più illustri giudici della Corte Costituzionali viventi (e forse di tutti i tempi), Sabino Cassese, si è espresso così: “Due punti sono chiari. Il primo è che ciascuno è libero di esprimere il proprio giudizio, con un sì o con un no. Il secondo è che partecipare alla votazione è un dovere civico. Chi si lamenta della fragilità della democrazia italiana non può astenersi dal voto, perché collabora a renderla più fragile. La democrazia è innanzitutto partecipazione dei cittadini alle decisioni collettive, specialmente se le decisioni collettive hanno tanta rilevanza come i prossimi referendum sulla giustizia e sulle modalità di esercizio del potere di ultima istanza, che è quello rimesso ai giudici: sono loro, infatti, che possono privare della proprietà e della libertà le persone”.
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