La difficile sfida all’inflazione delle banche centrali: finora niente passi falsi

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Candriam, in un’analisi di Nicolas Forest, Global Head of Fixed Income, sottolinea che la grande incognita riguarda il livello dei tassi alla fine del ciclo e avverte su due rischi: perdita di indipendenza e troppa rigidità

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Molti gli insegnamenti si possono trarre da quest’anno di rialzi dei tassi. La FED è riuscita nella sua missione, mentre l’inflazione nell’Eurozona rimane elevata e il margine della BCE è stretto, visti i potenziali rischi, in particolare di destabilizzazione finanziaria. Nel 2022 le banche centrali hanno aumentato i tassi in modo quasi unanime e senza precedenti. Da questi mesi si possono già trarre tre lezioni: le banche centrali non sono in grado di fare previsioni accurate, l’imitazione monetaria ha ancora preso il sopravvento su qualsiasi indipendenza, con la FED prima e più aggressiva nella stretta monetaria, la lotta all’inflazione è diventata la priorità, anche a rischio di portare l’economia mondiale a un grave rallentamento.

PER LA FED “MISSIONE COMPIUTA”

Nicolas Forest, Global Head of Fixed Income di Candriam, prevede che nel 2023 l’inflazione rimarrà ben sopra l’obiettivo del 2%, costringendo le banche centrali a mantenere alti i tassi più a lungo. Fattori più organici, come i cambiamenti demografici e la transizione energetica, potrebbero pesare in modo più strutturale sui prezzi. La grande incognita per il 2023 sarà prevedere il terminal rate per le diverse zone. Negli USA, la Fed ha aumentato i tassi nel modo più aggressivo degli ultimi 40 anni. Secondo Forest “Missione compiuta”…

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Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge.com.